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2 Maggio 2024

L’euro è una moneta ‘mittle-europea’ che ha modificato i nostri comportamenti

di Vittorio Lussana
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L’euro è una moneta ‘mittle-europea’ che ha modificato i nostri comportamenti

La debolezza della lira per lungo tempo ha occultato il nostro estremo bisogno di riforme, di una ristrutturazione del debito pubblico, di uno snellimento ed efficientamento dell’apparato burocratico dello Stato

Uscire dall’Unione europea e rinunciare alla moneta unica significa trascinare il Paese verso una crisi finanziaria devastante. Ma per dispiegare al meglio le proprie potenzialità, l’Ue deve decidersi ad abbandonare ogni cedimento verso politiche nazionaliste e procedere con maggior determinazione sulla strada della piena integrazione politico-istituzionale del proprio progetto sovranazionale e federativo. Innanzitutto, sul versante economico servirebbero nuove strategie fiscali maggiormente espansive, in grado di compensare le misure di austerità assunte dai distinti Stati membri, costruendo un assetto federale vero e proprio, l’unico capace di reggere l’impatto di ogni tracollo finanziario. L’adozione della moneta unica ha permesso una forte riduzione dei tassi d’interesse sui titoli di debito; ha stabilizzato i prezzi; ha favorito gli investimenti esteri grazie all’esistenza di una moneta stabile e forte, non più soggetta a forme di ‘volatilità’ valutarie. La facoltà di pagare con una moneta comune incoraggia le convergenze economiche e commerciali tra i diversi Paesi dell’Unione. Senza l’euro e la Bce, per esempio, l’Italia avrebbe subito, nel 2011, effetti catastrofici durante la sua crisi finanziaria. Ora che il peggio è passato, è necessario andare oltre i parametri di austerità e promuovere una piena integrazione sia a livello bancario e fiscale, sia sul fronte più genericamente politico-istituzionale. A tale scopo, appare dunque corretto il ragionamento di chi ricerca una rinnovata legittimazione democratica delle istituzioni comunitarie attraverso un’interpretazione più flessibile del ‘Fiscal compact’. Una legittimazione che non può di certo essere ottenuta attardandosi all’interno di una visione totalmente incentrata sul rigore. L’atmosfera emotiva e irrazionale che attualmente sta circolando in diversi Paesi dell’Unione europea si può sconfiggere solo se si riesce a far comprendere ai cittadini che è assai meglio ‘pesare’ con la propria percentuale di crescita di fronte a una Banca centrale europea, fondata su una valuta unica, piuttosto che sentendosi sovrani di una moneta dal valore puramente illusorio, che espone i singoli Stati a dover continuamente fronteggiare gli umori mutevoli dei mercati. Un’Unione europea politicamente unificata dovrebbe, inoltre, cominciare a prendere atto che il semplice e periodico coordinamento inter-governativo rappresenta, ormai, uno strumento inadeguato alla luce delle persistenti asimmetrie economiche all’interno della ‘zona-euro’, spesso acuite, tra l’altro, anche da fattori esterni, come per esempio la recente crisi ‘russo-ucraìna’. Le divergenze venutesi a creare all’interno dell’area valutaria dell’Ue sono divenute particolarmente aspre; le economie dei singoli Stati membri sono ancora in crisi o crescono poco; è aumentata l’ostilità e la reciproca diffidenza; si fanno strada ‘spinte’ che pongono in discussione l’intero progetto di unificazione europea. Rivendicazioni verso le quali è necessario rispondere non tanto con il pagamento sovranazionale dei debiti contratti sul piano nazionale, bensì con un nuova forma di ‘governance multi-livello’, investita da compiti ben distinti rispetto a quelli statali: così come risulta corretto chiedere ai singoli Stati di applicare politiche più severe di risanamento, dovrebbe essere altrettanto logico che le istituzioni federali cerchino di dare respiro ai singoli contesti produttivi e sociali con provvedimenti espansivi di natura ‘anticiclica’, ovvero in grado di difendere il potere di acquisto della domanda interna sia nelle fasi di crisi, sia in quelle in cui i prezzi tendono a crescere. Come dimostrato anche dalla recenti vicende greche, non è più possibile, oggi, recedere dalla moneta unica al fine di ottenere un potere contrattuale più efficace contro i dogmi dell’austerità, cioè rivendicando spazi di autonomia economico-finanziaria, poiché si rischia un isolamento che può solamente avvitare il Paese su se stesso, portandolo alla rovina. L’euro non è mai stato niente di più e niente di meno che una moneta: la sua velocità di circolazione viaggia attorno a parametri che, molto spesso, sono soprattutto di natura psicologica, estranei a quei retaggi che considerano solamente il potere d’acquisto dei biglietti di banca ‘cartacei’, scartando la valuta ‘metallica’, la quale invece, negli scambi commerciali interni dei Paesi del nord’Europa, ha sempre posseduto un proprio peso specifico. In tal senso, è sbagliata anche la teoria secondo la quale l’euro sarebbe stato imposto rapportandolo attorno ai valori netti del vecchio marco tedesco, quando invece esso mantiene la stessa elasticità e l’identico peso specifico che, in passato, determinava la forza interna di valute quali il fiorino olandese o le stesse corone nordiche. L’euro non è una moneta sostanzialmente tedesca, ma ‘mittle-europea’, pienamente inserita nell’alveo culturale e morale del protestantesimo luterano e calvinista: siamo noi ‘mediterranei’ a non riuscire a ‘inquadrarla’ nell’ambito di quei comportamenti di spesa e di risparmio all’interno dei quali una moneta ‘pesante’, nei suoi utilizzi ‘tipici’, ci costringe. Non è l’euro ad aver generato i nostri problemi, ma la debolezza della lira, che per lungo tempo ha occultato il nostro estremo bisogno di riforme strutturali, di una politica del debito pubblico che lo rendesse più sostenibile, di uno snellimento ed efficientamento dell’apparato burocratico dello Stato. Fino a quando l’Italia non affronterà alla radice i suoi problemi storici di competitività e di modernizzazione, essa resterà prigioniera di una crescita debole, derivante da fasi periodiche puramente congiunturali o dettate dall’export commerciale, senza mai riuscire a risolvere le ‘tare’ di fondo del proprio tessuto economico, produttivo e industriale.


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
Registrata presso il Registro Stampa del Tribunale di Milano, n. 345, il 9.06.2010.
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