Quelli di Matteo Renzi sono errori d’inesperienza, gravi ma non gravissimi: la fase è di pura ‘transizione’ e il premier è ancora in tempo per rielaborare una più corretta chiave di ‘narrazione’ che faccia approdare il Paese verso la terza Repubblica
L’Unione europea, in questa fase politica, è guidata da una ‘Grosse koalition’ formata da popolari, socialisti e liberali. Queste forze politiche, ognuna delle quali culturalmente connotata da una propria matrice identitaria ben precisa, stanno facendo ‘quadrato’ per evitare l’ascesa di movimenti che non sono soltanto reazionari e ‘antieuropeisti’, ma soprattutto demagogici e assai poco democratici, disgregatori e ‘distruttivi’. Detto questo, quel che sta veramente venendo alla luce in questi giorni dai difficili rapporti tra Bruxelles e Roma è il fatto che, mentre l’Unione europea sta affrontando una serie di problemi richiamandosi alle più autentiche tradizioni economiche e sociali del mondo occidentale, altre forze stanno cercando di ‘cavalcare’ strumentalmente polemiche e diatribe al solo scopo di accusare l’Ue di attuare un utilizzo della spesa pubblica scarsamente ‘flessibile’, impedendo in tal modo ai Governi nazionali di ottenere consenso ‘risvegliando’ i mercati interni dei rispettivi Stati-membri. Sotto il profilo individuale, Juncker e Renzi appartengono alla medesima ‘famiglia’ politica: quella dei cristiano-sociali. Ma il fatto che l’attuale presidente della Commissione europea stia polemizzando con Roma non dipende da questioni di alta visione strategica circa il futuro dell’Unione - problemi che, a dirla tutta, l’Ue indubbiamente possiede e non sta affatto risolvendo - bensì dal ‘nervosismo’ con cui il nostro Paese sta reagendo rispetto a una serie di decisioni. Innanzitutto, al centro della contesa vi è la questione ‘turca’: per riuscire a venire a capo della massiccia migrazione dei profughi siriani, la Commissione guidata da Jean-Claude Juncker, al momento unico organo con funzioni di governo amministrativo dell’Unione, ha deciso di finanziare Ankara con circa tre miliardi di euro, al fine di aiutare i turchi a gestire l’enorme esodo proveniente dal Medio Oriente. Una partnership, quella tra Ue e Turchia, che l’Italia non ama moltissimo, poiché la ‘scusante’ degli sbarchi in Calabria e in Sicilia di questi ultimi anni aveva rappresentato, per il nostro Governo, un modo utile per chiedere e ottenere aiuti d’emergenza. Renzi giudica, pertanto, la ‘virata turca’ di Juncker quasi un tradimento: sul fronte dell’immigrazione, il comportamento dell’Italia è stato non soltanto corretto sotto il profilo umanitario, ma addirittura ‘eroico’. Eppure, al centro degli aiuti oggi non c’è più Roma, bensì Ankara: in primo luogo, perché quando ce n’è stato bisogno, l’esecutivo italiano è stato aiutato con direttive e provvedimenti tuttora in vigore e, quindi, al momento non può chiedere molto di più di quel che è già riuscito a ottenere; in secondo luogo, perché in questa fase il flusso più massiccio è quello delle migrazioni ‘di terra’ e non ‘di mare’. Ecco, dunque, il primo problema: Matteo Renzi, ponendo l’Italia al centro della questione migratoria proveniente dall’Africa, in qualche modo era riuscito a far ‘passare’ una linea ‘umanitaria’ che persino Angela Merkel, a un certo punto, ha deciso di ‘sposare’, constatandone i buoni risultati d’immagine internazionale che poteva trarne. Il ‘giochino’ di Renzi, in buona sostanza, è stato ‘compreso’ dalla Germania sin dall’estate scorsa, anche se bisogna ammettere che il nostro Paese è stato l’unico a battersi in buona fede, al fine di ottenere una serie di decisioni sulla ‘scia’ di fatti ed emergenze contingenti. Sia come sia, la reazione attuale del Governo di Roma risulta una mezza ‘scenata’ di gelosia: dopo essere riuscito a trasformare il canale di Sicilia da confine italiano a frontiera dell’Ue, Matteo Renzi si è accorto che lo sguardo di Bruxelles si è rivolto, un po’ repentinamente, alla Turchia. Ma la verità è che la situazione nel Mediterraneo è cambiata o, per lo meno, si è parzialmente modificata. E i numerosi ‘mal di pancia’ di Renzi e della Farnesina non corrispondono a una buona linea di politica estera, un ‘campo’ in cui si è spesso costretti, soprattutto sotto il profilo diplomatico, a fare ‘buon viso’ a ‘cattivo gioco’. Oltre a tali questioni, c’è poi la diatriba economica: Jean-Claude Juncker è rimasto ‘infastidito’ dagli atteggiamenti “impazienti e giovanili” di Matteo Renzi, “che non sempre facilitano le cose”, pur rassicurando circa la sua visita ufficiale in Italia per il prossimo mese di febbraio, finalizzata a “fare chiarezza”. Anche su questo secondo punto, la posizione di Bruxelles ha il merito di essere più chiara: sotto il profilo di una maggior flessibilità finanziaria, il nostro Governo ha ottenuto concessioni che non sono state viste di ‘buon occhio’ da molti Stati-membri del nord’Europa, compresa la Germania. Paesi indubbiamente ben più severi nel difendere e applicare le cosiddette ‘politiche di rigore’. Senza l’assenso di Jean-Claude Juncker in particolare e dell’Unione europea nel suo complesso, l’Italia non avrebbe mai ottenuto l’autorizzazione a utilizzare un po’ di ‘spesa pubblica’ in più. Matteo Renzi, viceversa, sin dalla fine della presidenza italiana dell’Europa si è ‘venduto’ ai media la cosa come un proprio successo, fornendo una versione vera solo in parte. In pratica, molti malumori degli altri Stati-membri per il trattamento di favore ottenuto dall’Italia se li è dovuti ‘sorbire’ il leader lussemburghese, che si è poi ritrovato a dover leggere sui giornali italiani che si sarebbe trattato di una ‘svolta’ di politica economica imposta e ottenuta dal Governo di Roma. La valutazione delle politiche di bilancio del gennaio 2015 è stata una lunga e difficile mediazione che l’attuale presidente della Commissione europea è riuscito a ‘strappare’, convincendo numerosi Paesi “che non parlavano lingue del sud” - ha sottolineato lo stesso Juncker - ad accettare un compromesso sulla ‘flessibilità’. Una ‘flessibilità’ di cui il nostro Paese gode tuttora. Ciò fa emergere la ‘stramaledetta’ tendenza propagandistica ‘filoberlusconiana’ di Matteo Renzi: una ‘febbre’ che può rivelarsi un ‘boomerang’, così come lo fu, in passato, per lo stesso Sivlio Berlusconi. Proprio il superamento delle politiche ‘percettive’, puramente mediatiche e declamatorie, rappresenta quel ‘salto di qualità’ che da tempo si sta chiedendo alla politica italiana, poiché non basta andare in televisione a ‘vendersi’ meriti altrui per riuscire convincere gli elettori, ormai esacerbati da decenni di bugie, che il Paese si è finalmente posto sulla strada del senso civico e della politica come ‘servizio civile’ a favore dei cittadini. Si tratta di errori d’inesperienza, gravi ma non gravissimi: la fase rimane di pura ‘transizione’ e Matteo Renzi è ancora in tempo per rielaborare una più corretta chiave di ‘narrazione’, funzionale a far far approdare il Paese verso la terza Repubblica. Un obiettivo, quello del premier, che condividiamo proprio perché ci permetterebbe di uscire dalla ‘palude’ della politica mediatica, delle risse televisive e delle ‘sparate’ demagogiche. Così come fu tutto sommato corretto sollevare l’esigenza di una ‘rottamazione’ di molti ambienti, gruppi d’interesse e burocrazie interne, allo stesso modo il premier è chiamato, ora, a trovare un nuovo ‘gancio ideale’ in grado di trascinare l’Italia verso uno ‘step’ successivo. Mettersi a fare l’antieuropeista credendo, in tal modo, di poter esautorare le destre xenofobe e i distinti movimenti demagogico-protestatari diffusi in Europa, ci sembra un disegno non soltanto eccessivamente ambizioso, ma anche piuttosto sterile sotto il profilo dei possibili risultati. Sollevare critiche nei riguardi dell’Unione europea è un’attività già svolta da molti, con ottimi risultati di consenso: credere di poter integrare subculture totalmente distanti, se non addirittura ‘aliene’, rispetto alla socialdemocrazia più autentica e ai suoi valori di avanzamento sociale di nuovi ceti emergenti, rappresenta soltanto una mera suggestione: una ‘pia’ illusione. E’ invece una coerenza ferma, concreta e sostanziale, dunque non solo d’immagine, la nuova ‘identità’ da trasmettere ai cittadini: ovvero, la sensazione che si conoscano a fondo i problemi da risolvere e che si possa farlo con efficacia. Insomma, Matteo Renzi si ritrova innanzi a una nuova fase di evoluzione possibile del complicatissimo ‘quadro’ italiano. Un 'passaggio' che è tenuto ad affrontare dimostrando una caratteristica ben diversa, rispetto al passato più recente: quella del ‘temperamento’. Una qualità che di solito appartiene a chi dimostra coerenza di comportamenti e consapevolezza politica. Non si tratta di ‘esami’ che debbono essere superati solamente dall’Italia, ma principalmente da quel Partito democratico di cui Matteo Renzi è Segretario nazionale, se veramente intende trasformare la propria forza politica nel nuovo ‘Partito-guida’ del Paese. In caso contrario, cioè a esperimento fallito, si torna tutti a casa e ‘buonanotte suonatori’.
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