Dopo il Covid 19 si apre l'era del capitalismo cibernetico, che promette di liberare l’uomo dalla schiavitù del lavoro, anche se si rischia nuova disoccupazione, oppure di colpire la produzione manifatturiera dei Paesi in via di sviluppo basata sull’outsourcing
Dopo il Covid 19, arriva la quarta rivoluzione industriale. Essa si baserà sull’integrazione tra sistemi ‘cyber-fisici’ nei processi industriali. Saremo cioè, molto presto, messi di fronte a un processo di inserimento di macchine intelligenti, tutte connesse a internet, nella maggior parte delle attività oggi svolte dagli esseri umani. Non si tratta semplicemente di un nuovo ciclo provocato da una forma di meccanizzazione, ma di ‘network’ di macchine che potranno produrre di più e con meno errori, modificando autonomamente gli schemi produttivi a seconda degli input esterni che ricevono, mantenendo al contempo un alto grado di efficienza. In pratica, anche l’industria e la sua produzione saranno presto connesse in rete. Sono sempre di più, infatti, gli italiani che desiderano rendere le proprie case intelligenti (Smart Home), ovvero monitorabili e gestibili da remoto, con la sola forza di una connessione veloce. La domotica non solo promette comodità, ma concede di limitare gli sprechi energetici e ridurre i consumi delle bollette. Così anche le industrie si muovono verso questo nuovo mondo.
E’ un approccio completamente nuovo, che sta già facendo parlare di sé. Molte fabbriche, tanto per fare un primo esempio, sprecano una gran quantità di energia durante le pause della produzione, come i week end e le vacanze estive. Una cosa che le future fabbriche intelligenti potranno evitare. Qui da noi, l’argomento sta semplicemente facendo ‘capolino’, ma non si è ancora ben compreso di cosa si tratti. Innanzitutto, uno degli aspetti che presto sarà più tangibile sarà l'idea di un design orientato ai servizi, che potrà cioè spaziare dai consumatori, i quali sfrutteranno i controlli di una fabbrica per produrre oggetti da soli, alle compagnie, che possono vendere prodotti su misura destinati ad acquirenti individuali. Il potenziale di questa modalità di produzione è infinito. Per esempio, la comunicazione tra i prodotti del cosiddetto ‘internet of things’ e le macchine intelligenti che li producono genererà la produzione di beni che saranno in grado di monitorare il loro stesso uso, determinando quando spegnersi da soli e persino quando ‘morire’. Se il nostro telefono cellulare è consapevole di aver quasi terminato il proprio ciclo di utilizzo, informerà direttamente la fabbrica o la propria ‘azienda-madre’, la quale potrà modificare i propri livelli di produzione rispondendo ai dati in arrivo dagli oggetti intelligenti da essa stessa prodotti. E quando un telefono sarà da cestinare, ce ne sarà già un altro pronto ad attenderci, con buona pace delle attese per mancata disponibilità del prodotto. Mentre questo processo si farà sempre più integrato, il nuovo telefono arriverà già programmato, con tutti i settaggi personali, uguale a com'era quando ci ha lasciato. Questo processo non è limitato solamente agli smartphone o ad altri strumenti elettronici più sofisticati. Dai vestiti allo shampoo, tutto risulterà a disposizione del consumatore, senza quei costi aggiuntivi tipici del ‘design’ personalizzato. Gli oggetti saranno fatti apposta per il singolo: non si tratterà più di selezionare un colore da una gamma predeterminata per il tuo nuovo autoveicolo e chiamarla: "Personalizzazione". Quest'integrazione tra fabbriche intelligenti e fra distinte infrastrutture industriali comporterà enormi risparmi energetici. L’industria 4.0 cambierà la definizione stessa del lavoro, poiché le ‘macchine’ saranno in grado di effettuare tutte le azioni ripetitive del ciclo produttivo, con maggior efficienza rispetto alla mano d’opera umana. Ogni azione sarà sempre più automatizzata. Il punto critico di tale processo è quello di un mondo invaso dalla disoccupazione? Secondo i teorici di tale ‘massima differenziazione’ dei prodotti, le persone saranno assai più libere di dedicarsi a compiti più creativi e avanzati, anziché ritrovarsi occupate in mansioni umili e poco qualificate. Inoltre, con la digitalizzazione dei sistemi fisici, i lavoratori dovranno spendere meno tempo in un luogo di lavoro specifico e gestire l'azienda da ‘remoto’, ovvero via internet. Coloro che otterranno i benefici più consistenti dall'avvento di questa quarta rivoluzione industriale sostengono che l'arrivo della 'cyber-industry' sarà stabilizzata proprio da una spinta popolare, piuttosto che da un piano corporativo. Tuttavia, nonostante la retorica, numerose indagini dimostrano come il problema principale di questa nuova forma di industrializzazione si nasconda non tanto nel consumatore, quanto nei benefici ipotizzati per le multinazionali, che ovviamente adotteranno il sistema per prime. Siamo dunque alle porte di un processo di ristrutturazione industriale gigantesco: l'esistenza stessa della produzione potrebbe presto dipendere dall'industria ‘intelligente’. Ogni singola azienda, se vorrà sopravvivere, espandersi e prosperare, avrà bisogno di giocare un ruolo attivo nella modellazione di questa rivoluzione. Nel frattempo, ci sono altri ‘nodi’, sia sul piano tecnico, sia su quello sociale: ottenere il massimo dei vantaggi dalla quarta rivoluzione industriale richiederà un'intensa collaborazione tra corporazioni, specialmente quando si tratterà di far parlare a tutte le macchine la stessa ‘lingua’. Se un prodotto incompleto arriva a un macchinario che non è in grado di leggere il ‘chip’ perché non è stato programmato sulla stessa frequenza, il processo produttivo sarà costretto ad arrestarsi. Ecco perché stabilire ‘piattaforme’ e linguaggi comuni per permettere alle macchine di capirsi, al di là di confini e barriere, sarà uno dei problemi cruciali dell'adozione massiccia dei sistemi ‘cyber-fisici’. D'altro canto, un'omogeneità eccessiva può essere anche pericolosa. Google, per esempio, già oggi controlla il 97% delle ricerche in rete in Germania. E alcuni leader di governo di Berlino sono preoccupati dal fatto che, molto presto, una ‘manciata’ di compagnie influenti possa ottenere un vantaggio ‘scorretto’. I grandi dati necessari perché le industrie 4.0 funzionino, infatti, non sono raccolti da compagnie tedesche, ma da quattro grossi nomi della Silicon Valley. Un altro problema importante è la sicurezza: una rete non sicura non è questione da nulla. E integrare internet nei sistemi fisici rende questi ultimi vulnerabili ai ‘cyber-attacchi’. Con l'avvento dell’industria 4.0, i processi di produzione possono essere danneggiati in remoto, o manipolando il protocollo di produzione, oppure paralizzando semplicemente il processo, favorendo reazioni distruttive e fraudolente, o anche semplice ‘luddismo’. Già oggi esiste un ‘malware’ cucito su misura per fare a pezzi i sistemi di produzione ‘fisico-cibernetici’. Man mano che le fabbriche intelligenti diventeranno realtà, capire come assicurare la ‘cyber-sicurezza’ senza rinunciare ai benefici, come la comunicazione in tempo reale tra le macchine, diventerà presto una priorità per i produttori. Dal nostro punto di vista, la crescente ‘ridondanza’ di manodopera e le disastrose conseguenze dell'automatizzazione sono le questioni che tale processo di modernizzazione rischia di sottovalutare. Tali dubbi, infatti, non provengono da un pregiudizio ideologico e non sono ingiustificati: secondo alcune proiezioni, tra circa vent'anni il 47% dei lavori risulteranno automatizzati. E milioni di persone in tutto il mondo perderanno il proprio posto di lavoro. Resta pur vero che l'era delle macchine che ‘rubano’ il lavoro è stata più che altro quella della ‘terza rivoluzione industriale’. Una questione generata da una crescita esponenziale dell'automazione. La quarta rivoluzione industriale, invece, sarà quella che farà dialogare le ‘macchine’ tra loro, le une con le altre, senza la necessità dell'intervento umano. Dunque, ciò che ci preoccupa più seriamente è che l'industria 4.0 permetterà alle imprese di espandere il loro operato senza la necessità di creare nuovo lavoro. La qual cosa potrebbe dimostrarsi un vero problema, a fronte dell'incremento demografico. Inoltre, questo trend può danneggiare le nazioni in via di sviluppo: non è una sorpresa che uno dei più grandi impulsi alla quarta rivoluzione industriale sia il desiderio di competere con la produzione in ‘outsourcing’. L'implementazione su larga scala di sistemi ‘cyber-fisici’ nell'industria potrebbe rovesciare questa tendenza all'outsourcing, penalizzando i Paesi poveri, che contano sempre di più su questo tipo di lavori manifatturieri. Infine, nonostante la promessa della crescente proliferazione dei beni di consumo, della manodopera liberata dalle fabbriche e dei milioni di dollari incanalati nell'economia della ‘reindustrializzazione’, in fin dei conti qualcuno dovrà pur sostenere i costi per tenere attive tutte queste macchine. Se la manodopera umana continua a essere ‘rimpiazzata’ non importa più di tanto quanto si produce, perché al termine del ciclo produttivo non ci sarà nessuno in grado di acquistare quanto sarà stato prodotto. A nostro parere, la quarta rivoluzione industriale può portare alla liberazione dai lavori più noiosi e ripetitivi, a favore di quelli più creativi. O, più probabilmente, finiremo per guadagnarci lo stipendio pedalando su biciclette elettriche che producono energia. Ma una cosa è certa: l'industria 4.0 è già qui. E tutti gli indicatori suggeriscono che stiamo entrando irrimediabilmente in un'era ‘smart’, dove tutti gli oggetti sono in costante comunicazione gli uni con gli altri. Un futuro ‘strano’, insomma, basato su una nuova forma di comunicazione tra le ‘macchine’, che dialogheranno silenziosamente tra loro. E senza alcun filo.