Barack Obama ha vinto le presidenziali americane. La notizia c’è tutta, poiché si tratta del solo capo di Governo occidentale che riesce a rimanere in ‘sella’ nel corso di questa lunga e cruenta fase di recessione economica globale. Il presidente americano è riuscito a confermare, almeno in parte, la propria piattaforma politica solidaristica. E gli americani hanno compreso come non si tratti di una versione elegante di ‘socialismo’, bensì del tentativo di costruzione di un welfare efficiente e produttivo, cosa impossibile persino da immaginare qui da noi, dove lo Stato viene visto come una ‘mucca’ da mungere parassitariamente. In ogni caso, mister Obama non demonizza di certo il mercato o la libera iniziativa privata quando essa è sana, propositiva, dinamica, in grado di ridurre l’attuale tasso di disoccupazione degli Stati Uniti. Dunque, anche in ciò siamo su un altro pianeta, rispetto alla nostra classe imprenditoriale. Tornando infatti su questo ‘lato’ dell’oceano Atlantico, appare ormai assodato come la congiuntura macroeconomica europea si trovi a un bivio. Si tratta di un ‘passaggio’ intorno al quale in molti stanno cercando di far ‘breccia’ nel cuore e nella testa della signora Angela Merkel. Attenzione, però: la questione non è di semplice risoluzione, sotto il profilo politico. La cancelliera tedesca, infatti, non ha tutti i torti nel ritenere l’instabilità dell’eurozona assai condizionata dai debiti pubblici ‘sovrani’ di Grecia, Italia e Spagna, poiché il parametro deficit/pil rimane il ‘binario’ al di fuori del quale non si potrà più ‘deragliare’, in futuro. Al contempo, però, bisogna sottolineare come la situazione economica complessiva della Grecia, per esempio, sia di tale depressione da impedire qualsiasi provvedimento di rilancio della crescita. E che, per riuscire a farla rientrare nel rapporto deficit/pil, non basterà far rispettare ad Atene un severo piano di rientro finanziario come invece accaduto col Governo italiano. In sostanza, il Paese ellenico si trova costretto a rinunciare alla crescita per almeno 5-7 anni. E i suoi stessi abitanti dovranno vivere ‘inseguendo’ i conti da pagare mese per mese, senza neanche potersi permettere l’acquisto di un paio di scarpe nuove per i propri figli. La Grecia, insomma, è veramente ricaduta in quello stato di povertà dalla quale era già difficilmente emersa alla fine degli anni ’80 del secolo scorso. La situazione italiana e quella spagnola, tuttavia, non sono esattamente nelle medesime condizioni. La Spagna, per esempio, ha un sistema bancario debole, in grave crisi di liquidità, non in grado di finanziare nuove iniziative commerciali e imprenditoriali, mentre sotto il profilo dell’apparato pubblico viene mantenuta dal Partido popular, attualmente al potere, una politica di ‘contenimento’ tesa a garantire il ‘galleggiamento minimo’ della classe medio-impiegatizia del Paese, pronta a cambiare nuovamente ‘bandiera’ se soltanto sentisse aria di nuovi inasprimenti deflattivi. C'è da dire che, nel caso spagnolo, la classe politica, sia quella progressista, sia quella conservatrice, è tutto sommato meno colpevole rispetto a quella bancaria, la quale si è invece lasciata parzialmente coinvolgere nella bolla speculativa dei titoli derivati e dei mutui ‘facili’. Dunque, anche se l’attuale Governo di Madrid appare alquanto ‘imbalsamato’ nella gestione corrente, non è detto che nuove politiche di investimento in piccole iniziative o nuovi progetti economici ‘emergenti’ non possano generare una ‘tiepida’ ripresa già nella seconda metà del 2013. L’Italia, a sua volta, ha il problema del proprio annoso debito pubblico (126% del pil), che letteralmente ‘zavorra’ la nostra condizione economica complessiva. La classe politica italiana, soprattutto a livello locale, ha sprecato enormi risorse e non ha utilizzato, negli scorsi anni, la possibilità di incentivare nuove iniziative di imprenditoria giovanile e femminile attraverso progetti finanziabili dall’Unione europea, la quale si è vista costretta a ‘inoltrare’ tali fondi verso i Paesi dell’est. Intorno a ciò, qualcuno ha anche provato a soffiare sul ‘fuoco’ del razzismo, nel tentativo di addossare le responsabilità della recessione a quell’operazione di ‘allargamento’ dell’Ue entrata in vigore il 1° gennaio 2005. Fortunatamente, si è capito abbastanza presto che tali convinzioni erano un mero ‘boomerang demagogico’, poiché si è ben presto riscontrato come la ‘colpa’ per il mancato utilizzo delle risorse previste per gli anni 2008 – 2013 sia stata totalmente nostra, del nostro apparato burocratico clientelare e parassitario, della totale mancanza di una politica di formazione imprenditoriale anche in quei comparti professionali a prima vista assai distanti dalla cultura manageriale (settori artistici, turistici e culturali in generale). Persino il recente appello del presidente Napolitano in favore di nuovi investimenti nel campo della cultura non è stato ben compreso da operatori e organi di informazione. Per pura pigrizia mentale, questo preciso ‘passaggio’ del discorso presidenziale è stato ‘sintetizzato’ come la semplice richiesta di “nuove politiche legislative”, cioè di nuove norme atte a stimolare iniziative innovative, come se Napolitano fosse il Segretario generale di una Repubblica socialista sovietica. Non solo non è affatto così, ma il Capo dello Stato ha dichiarato tutt’altro. E il fatto che ciò non riesca minimamente a emergere tra le ‘maglie’ dell’informazione ufficiale dà naturalmente adito alle interpretazioni più ‘maliziose’: da una parte, si intuisce come sia ormai palese la povertà di preparazione e di qualità professionale di numerosi ambienti (editoria, mondo televisivo, settori turistici o della produzione culturale e, persino, qualche ambiente accademico); dall’altra, si fa ‘orecchio da mercante’ per evitare di dover ammettere come l’abolizione del reato di falso in bilancio, attuata dai Governi ‘berlusconiani’ del passato, abbia generato quello spaventoso equivoco che ci ha reso finanziariamente ambigui e poco affidabili. Comunque sia, sgombrando ora il campo da tali italianissime ipocrisie, vorrei a questo punto chiarire come la ‘vera partita’ che si dovrà giuocare in Europa, stante la situazione di recessione globalizzata, necessiti di un’impostazione a ‘carte scoperte’, quanto meno nella contingenza dell’attuale fase politico-economica. E come si intenda ‘mirare’, di qui alle prossime elezioni europee, a un vero e proprio ‘cambio della guardia’ tra socialisti e popolari alla guida dell’Ue. Tale obiettivo viene proposto non soltanto per direzionare l’intero continente lungo la strada laica delle nuove libertà pubbliche e verso la ‘nuova frontiera’ dei diritti civili, oppure per riprendere in mano il progetto di un’effettiva unificazione politica continentale, bensì al fine di rammentare sin d’ora come l’area latina dell’Europa sia comunque bene ‘allenata’ a emergere anche da lunghe fasi recessive, nonostante le incredibili ‘zavorre’ di cui soffre da tempo immemorabile (un debito pubblico assai elevato e, nel caso dell’Italia, una criminalità organizzata territorialmente assai radicata). E’ esattamente questo il ‘punto’ su cui la signora Merkel si sbaglia. Ella infatti sottovaluta come gli italiani, per esempio, siano ‘capaci di tutto’. Il problema di un debito pubblico pesantissimo l’Italia non lo possiede da oggi, bensì dai tempi della riforma sanitaria nazionale del 1978, quella che ha creato le famose Usl - poi divenute Asl - che potremmo prendere come tipico esempio ‘di scuola’ della nostra ‘voracità’ clientelare e burocratica. Ciononostante, gli italiani sono un popolo che non ‘molla’, che non si arrende. Un dato, quest'ultimo, su cui personalmente rimango sempre pronto a scommettere e che può risultare fondamentale per far ripartire la crescita e creare nuove aspettative in campo economico. L’Europa mediterranea può ricominciare a crescere purché si applichino nuove politiche europee di reale sostegno della domanda, provvedimenti che non implichino fattori inflattivi della moneta i quali, a loro volta, potrebbero comportare nuovi aumenti dei prezzi. Sempre restando in Italia, un nuovo Governo che riesca a ‘calmierare’ alcuni mercati interni, intervenendo sui prezzi di alcune merci fondamentali al fine di evitare la ‘paralisi’ dei consumi - benzina, polizze auto, tariffe ferroviarie, pedaggi autostradali, beni di largo consumo - congiuntamente a una serie di provvedimenti tesi a detassare gli stipendi di impiegati e lavoratori dipendenti, potrebbe dar luogo a qualche primo segnale incoraggiante. Sul fronte del mercato occupazionale, inoltre, l’introduzione e l’incoraggiamento di una nuova imprenditoria giovanile e femminile attraverso alcuni primi esperimenti di economia sociale di mercato, oltreché di tutela ambientale o di controllo territoriale, potrebbero dar luogo a un’inversione di tendenza, assieme all’effettiva apertura di numerosi altri settori nel campo dell’innovazione e della ricerca. In pratica, in Italia molti mercati non esistono? Allora inventiamoli. Altri sono in fase di stagnazione? Bene: rigeneriamoli. Altri ancora risultano ‘ingessati’ da logiche di oligopolio? Dunque, allarghiamoli attraverso nuove forme di cittadinanza economica e una serie di coraggiose liberalizzazioni. Intorno a quest’ultimo punto, alcuni tentativi son già stati fatti, in determinati settori, dall’esecutivo ‘tecnico’ attualmente in carica nel nostro Paese, anche se con esiti alquanto parziali, poiché hanno incontrato fastidiose forme di resistenza corporativa. Tuttavia, ciò non può continuare a giustificare una politica liberale solamente ‘a parole’, poiché ambiguamente pronta a schierarsi in favore della protesta populista allorquando questa riesce a determinare l’indebolimento dello schieramento politico avversario: o si sceglie di essere liberali, oppure non lo si è. Se l’Italia e gli altri Paesi dell’Europa mediterranea sapranno ritrovare la forza per riuscire a incidere sul terreno della ristrutturazione organizzativa dei propri mercati interni, compreso quello occupazionale, rinvenendo altresì una propria stabilità politica interna, Casini e Rutelli permettendo, sono certo che saranno anch'essi in grado di elaborare un’originalissima e brillante risposta al predominio produttivo tedesco. Sono la fantasia e la creatività le vere armi segrete dei Paesi mediterranei: se solo questi riusciranno a coniugare tali caratteristiche con innovative forme di riorganizzazione produttiva e burocratica dei rispettivi ‘sistemi-Paese’, essi saranno presto in grado di rialzarsi e ripartire. Intorno a simili esiti sono pronto a scommettere un caffè con la cancelliera Angela Merkel in persona: è disposta, la signora in questione, a rischiare un simile ‘dazio’, oppure il battito d’ali di una farfalla a Berlino deve per forza generare tempeste ad Atene e a Madrid?