Lettera aperta del collaboratore Aziz Darif al Re del Marocco, Mohammed VI, finalizzata a denunciare la malagestione della grande moschea di Roma da parte del segretario generale e diplomatico marocchino, Abdellah Redouna
Un indubbio malcontento serpeggia tra i fedeli della moschea di Roma, la più grande d'Europa. Le lamentele principali riguardano il modo di gestire questo luogo di culto e il suo centro culturale islamico, diretti da quasi vent'anni - sino al 2011 come direttore, oggi come segretario generale - dal marocchino Abdellah Redouane, nella vita quotidiana dipendente dell'ambasciata del regno del Marocco a Roma. Negli ultimi tempi, un gruppo di fedeli ha animato una fronda ‘anti-Redouane’, capitanata da Aziz Darif, per anni collaboratore dell'amministrazione della moschea. Da qui, la forte reazione nei confronti di Darif da parte di Redouane, che secondo quanto riferisce lo stesso Aziz Darif lo avrebbe “cacciato dalla moschea. Un altro collaboratore”, riferisce, “recentemente si è dimesso, anch’egli per forti contrasti con il segretario generale”. Per protesta, Darif è arrivato a scrivere una lettera di denuncia allo stesso Re del Marocco, Mohammed VI: “Redouane”, scrive Darif nella missiva, “gestisce la moschea e il centro in modo fortemente autoritario e personalistico, privilegiando un gruppo di musulmani e sigle di associazioni a lui più legate, a scapito degli altri fedeli, musulmani appartenenti a varie comunità o italiani. Sembra, inoltre, che gli impiegati del centro culturale, addirittura non vengano pagati da mesi. Mentre la moschea”, sottolinea Aziz Darif, “ha urgente bisogno di lavori di riparazioni e di restauro (bagni, impianti riscaldamento, pareti con tracce di umidità e altre cose) per i quali, però, Redouane sostiene sempre che non ci sono fondi”. Sui giornali marocchini, Darif ha inoltre pubblicato una ‘lettera aperta’ in arabo, divulgata anche su Facebook e Youtube, per spiegare la situazione. Ma intorno a tali dubbi ci sono vari e, spesso, confusi riferimenti sui social network. E la stampa non se ne occupa. Questo è un ulteriore motivo di disagio per i musulmani in Italia, anche per la comunità marocchina di Roma, divisa e preoccupata al suo interno. In molti non comprendono i motivi di questa censura e, secondo quanto si può leggere in tanti commenti su Facebook, vorrebbero far conoscere questa situazione all'opinione pubblica italiana. In effetti, non si comprende esattamente quale sia il programma di iniziative culturali e il disegno complessivo dell’attuale gruppo dirigente, tollerato più che voluto da chi frequenta la moschea. Il sito web del centro e quello del luogo di culto pubblica, più che altro, il resoconto delle visite che periodicamente compiono turisti e ragazzi delle scuole dei corsi di lingua araba. Oppure, di quei 2 o 3 convegni che, ogni anno, vengono organizzati. Per il resto, si rimane sempre nel vago e nel generico. Per le funzioni e le esigenze spirituali dei fedeli, di fatto la moschea è aperta quasi esclusivamente il venerdì, giorno sacro per i musulmani. Per tutti questi motivi, si è creato un obiettivo malessere della maggioranza dei musulmani italiani, specie della comunità romana, comprendente, oltre agli immigrati dai Paesi a religione islamica, alcuni dei quali ormai divenuti cittadini italiani, anche un 2-3% di italiani convertiti all'Islam. Chiaramente, tutti i musulmani rispettano quest'importante luogo di culto, ma pensano che esso dovrebbe fare di più e diversamente, coinvolgendo maggiormente tutte le comunità e le associazioni in regola, senza distinzioni relative ai Paesi d'origine. Attualmente, il 25% circa della comunità capitolina frequenta la grande moschea. E di questo 25%, la maggior parte ci va solo per pregare, non per partecipare alle attività, ben poche, del centro culturale.
“Senza voler entrare nel merito delle questioni personali tra Redouane e Darif, è evidente”, sottolineano molti fedeli dissenzienti, “che il segretario del centro culturale, se non deve esser cacciato per via di interferenze esterne, qualunque esse siano (alcuni dissidenti si son rivolti anche a varie istituzioni italiane, che però non vogliono interferire nelle vicende interne di quella che è, in pratica, un'associazione culturale gestita, per di più, da altri Paesi, ndr) non si può tuttavia proseguire con la politica attuale, in cui tutto sembra gestito in modo monarchico e autoreferenziale, agendo, in sostanza, da emissario del Governo marocchino. A questo punto, o Redouane viene democraticamente eletto dalla comunità, cosa che non è stata mai proposta (e comunque non a vita) sulla base di un preciso programma, oppure ci si corregge e si ammettono alcuni errori di gestione e mediatici. Altrimenti, si dimetta, per non danneggiare ulteriormente l'immagine della grande moschea a causa di queste polemiche, che durano ormai da anni”.
Almeno l'85% del mondo musulmano e arabo in Italia, tra cui tante associazioni e moschee, gestite da cittadini marocchini, egiziani, algerini, tunisini e del Bangladesh, non condivide quello che sta diventando sempre più lo strapotere di Reduoane. “Ciò è ancor più comprensibile”, sottolineano alcuni fedeli, “se si tiene presente che la quasi totalità di questo 85% oggi vive la religione in modo laico e aperto alla società civile. Non si può delegare una persona che ricopre un ruolo amministrativo, dipendente di un'Ambasciata, il compito di parlare e decidere a nome dell'Islam italiano, di stabilire chi è rappresentativo e chi no, chi è accreditato o no dalle istituzioni italiane”.
La stessa Consulta per l'Islam italiano, tanto per fare un esempio, è stata sin dall'inizio un strumento che in realtà ha diviso il nostro mondo musulmano: non si è mai capito in base a quale criterio vengono scelti i suoi membri e ne vengono esclusi altri, pur rappresentativi e attivi a livello nazionale. Addirittura, nel primo ‘think tank’ musulmano in Italia, presentato recentemente alla stampa in via dell'Umiltà a Roma, su 35 membri, quasi una quindicina è composta da marocchini e amici di Redouane, che ne frequentano il centro culturale islamico. A maggior ragione, non è ammissibile che oggi qualsiasi persona, araba o musulmana, che parli a favore del dialogo interreligioso e interculturale venga censurata da Redouane perchè non è riuscito a mettere il proprio ‘cappello’ sulle varie iniziative, “come accaduto”, ci riferiscono, “sin dall'autunno del 2007 con l'impegno di alcuni esponenti della comunità musulmana, specialmente romana, nel tentativo di smorzare le polemiche sorte col Vaticano a causa del discorso di Benedetto XVI a Ratisbona”.
Questo dissenso, da noi raccolto, di recente è riuscito persino a organizzare alcune manifestazioni di protesta davanti alla grande moschea. Il ‘nodo’ della questione è soprattutto quello del centro culturale islamico d'Italia, ente ‘superpubblico’ riconosciuto con decreto del presidente della Repubblica italiana, “gestito come un'azienda privata”, secondo quanto scrive Aziz Darif nella sua lettera al Re del Marocco. La maggioranza dei musulmani chiede verità e trasparenza sulla gestione della grande moschea di Roma e vuol sapere perchè, contro di loro, siano stati eretti tutti questi muri. Che certamente esistono: basta verificare le attività svolte dal centro culturale in questi ultimi 20 anni, per notare quali siano i membri attivi e quante le sigle delle comunita' musulmane e arabe coinvolte. I musulmani italiani, che comunque hanno sbagliato anch’essi nel tollerare troppo a lungo questa situazione, chiedono: 1) che il centro, come sarebbe logico per un organismo culturale, venga gestito in piena apertura all'esterno e in stretto rapporto col territorio della capitale; 2) che organizzi periodiche iniziative da riportare, ogni anno, in un preciso programma; 3) la piena disponibilità, per gli utenti, della biblioteca, “la quale”, ricorda ancora Aziz Darif, “contiene fra i 30 e i 40 mila volumi, senza che la maggior parte dei musulmani di Roma e del Lazio lo sappia”; 4) che venga concessa la possibilità di poter usufruire della sala conferenze; 5) che venga inserito, tra i collaboratori, almeno un 10% di italiani; 6) che sia assicurata la partecipazione di personalità, anche laiche, tale da favorire un reciproco arricchimento spirituale. Occorre nominare, inoltre, anche un direttore italiano (non scordiamo che il centro è un ente che risponde al diritto italiano). "Al Re del Marocco, che è anche capo del Consiglio delle comunità marocchine all'estero, Redouane”, insiste ancora Darif, “non ha mai inviato alcun rapporto sui problemi della comunità marocchina in Italia. Il paradosso incredibile è che lui, essendo dipendente dell'ambasciata del Marocco e ricoprendo il ruolo di ministro della carriera diplomatica (con il grado di ministro plenipotenziario), a rigore non fa nemmeno parte della comunità marocchina o, quantomeno, non potrebbe votare. In me, probabilmente, ha visto un possibile rivale, l'uomo che un domani potrebbe scalzarlo". Insomma, nella grande moschea di Roma viene denunciato un consistente spreco di energie, capitali intellettuali, umani ed economici: "Se si prosegue in questa malagestione", conclude Darif, "dobbiamo veramente temere per quella che è la seconda generazione di musulmani immigrati in Italia, la quale rischia di non avere un futuro e il depauperamento spirituale e intellettuale. In fondo, c'è la prospettiva dell'immiserimento, dei ghetti, della disgregazione urbana: proprio come accaduto in Francia e in altri Paesi europei, col conseguente fallimento del multiculturalismo".
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