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23 Novembre 2024

Il vincolo confuso

di Serena Di Giovanni - sdigiovanni@periodicoitalianomagazine.it
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La ‘confusione burocratica’ alla base del parere espresso sulla tutela dell’architettura dell’ippodromo di Tor di Valle a Roma rischia di far commettere al Mibact l’ennesima figuraccia: vediamo perché

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Vincolo paesaggistico sì, vincolo paesaggistico no. Sulla nota e spinosa questione che sta interessando la costruzione delle stadio della As Roma a Tor di Valle, al posto dell’ippodromo novecentesco in stato fatiscente, si sono espressi in molti: da Oreste Rutigliano, presidente dell’associazione ‘Italia Nostra’, fino a gli esperti tecnici Mariarosaria Barbera, Giovanni Carbonara, Michela Di Macco, Maria Grazia Messina, che fanno parte, rispettivamente, del Comitato tecnico-scientifico per l'Archeologia, per il Paesaggio, per le Belle Arti e per l'arte e l'architettura contemporanee. Se Oreste Rutigliano si dice costernato “di fronte a un ministero dei Beni culturali che condanna alla demolizione l’ippodromo di Tor di Valle”, di recente anche i Comitati tecnico-scientifici del Mibact competenti per materia, all'unanimità, avrebbero detto ‘No’ al progetto a suo tempo presentato, rilevando il vincolo paesaggistico dell'ippodromo e delle tribune, disegnate dall'architetto Julio Lafuente.

La storia dell’ippodromo
Ma procediamo con ordine: rievocando la ‘Storia passata e recente’ di questo ippodromo, che per chi non è romano è situato nella zona Z. XXXIX Tor di Valle, a due passi dall’Eur, esso è un noto complesso urbanistico e architettonico della capitale. Con i suoi 420 mila metri quadrati, quello di Tor di Valle è considerato uno degli impianti più grandi d'Europa. Le sue tribune furono costruite su progetto dell’architetto spagnolo, Julio Garcia Lafuente (Madrid, 1921 – 11 giugno 2013) e inaugurate nel 1959, in occasione delle olimpiadi romane del 1960. La vita dell’ippodromo, tuttavia, è stata abbastanza infelice: nel 2004, gli venne ‘improntata’ una ‘tendostruttura’ provvisoria per utilizzare l'impianto come arena in occasione degli ‘MTV Europe Music Awards’ di Roma. Dal 2013, tutte le attività ippiche sono cessate definitivamente. L’impianto viene chiuso, divenendo a lungo preda di abusivi e luogo di baraccopoli.

L’accordo con l’As Roma
Una nuova speranza per la riqualificazione di uno spazio lasciato all’incuria e all’abbandono nacque a seguito dell'accordo per la costruzione di uno stadio di calcio per la As Roma al posto dell'ippodromo, sottoscritto nel dicembre 2012 a Orlando, in Florida, tra il presidente della società, James Pallotta, l'amministratore delegato, Italo Zanzi e il costruttore Luca Parnasi, proprietario del terreno. Nel 2017, dopo notevoli modifiche al progetto originario già proposto dall’ex sindaco della capitale, Ignazio Marino, un incontro tra il nuovo sindaco, Virginia Raggi, il presidente dell'assemblea capitolina, Marcello De Vito, il costruttore Luca Parnasi e, in rappresentanza del presidente Pallotta, il direttore generale della Roma, Mauro Baldissoni, ha definito un nuovo accordo per la costruzione dello stadio. Un’intesa non esente da critiche, mosse principalmente nei confronti della sindaca ‘pentastellata’, accusata di non aver preso da subito una posizione chiara rispetto alla questione e per aver cambiato idea riguardo al progetto di Marino, che interessava non solo lo stadio, ma tutta l’area limitrofa, con il potenziamento delle infrastrutture di trasporto.

Il fatto
Dopo l’allontanamento dell’ex assessore all'Urbanistica del comune di Roma, Paolo Berdini, contrario all’iniziativa, la strada per la sindaca sembrava in discesa. Invece, no: stando alle ultime indiscrezioni, lo stadio ‘non s’ha da fare’, tra numerose polemiche di carattere politico. A bloccare il progetto potrebbero concorrere anche problemi sostanziali di carattere ‘burocratico-normativo’. Il Mibact, infatti, ha respinto il ‘procedimento di dichiarazione di interesse culturale’ che prelude al famoso ‘vincolo paesaggistico’ per l’ippodromo, avviato nel gennaio 2017 da quella che era la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il comune di Roma, presieduta da Margherita Eichberg (oggi tale soprintendenza è stata ‘soppressa’ e accorpata alla Soprintendenza speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma, presieduta dall’architetto Francesco Prosperetti, che interessa l’intero comune di Roma, a eccezione dei territori compresi nei parchi archeologici, ndr). Per contro, la Sovrintendenza capitolina, diretta da Claudio Parisi Presicce, che gestisce, mantiene e valorizza i beni archeologici, storico-artistici e monumentali di proprietà di Roma Capitale, ha fatto un po’ come Ponzio Pilato: esprimendo parere favorevole al progetto, a condizione di “valorizzare, anche parzialmente e mediante riproposizione in luogo adiacente, le tribune dell’ippodromo di Tor di Valle”, Parisi Presicce ha tenuto a precisare che la sua Soprintendenza è stata "convocata solamente nella fase finale della valutazione tecnica".

L’iter legislativo
Proviamo a ricostruire i fatti: nel gennaio 2017, la Eichberg, soprintendente all’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il comune capitolino, congiuntamente con i comitati tecnico-scientifici del Mibact avvia il procedimento di vincolo sull’ippodromo, le sue tribune e l’area circostante, che ha tempo 120 giorni per concludersi. Al termine di questo procedimento, il segretariato regionale del Mibact, sentita la commissione regionale per la tutela composta dai soprintendenti del territorio, fornisce parere negativo. Ma non tutti si dimostrano d’accordo con la decisione presa. In primis, Francesco Prosperetti, l'architetto alla guida della Soprintendenza speciale per il Colosseo, il Museo nazionale romano e l'area archeologica di Roma, che per ultimo ha sostenuto il vincolo sull'ippodromo di Tor di Valle e che, a seguito della decisione di considerare il vincolo paesaggistico ‘inapplicabile’, dal suo ufficio a Palazzo Massimo ha parlato di “sciagura”. Andando oltre, ogni considerazione sullo stato fatiscente dell’ippodromo che – diciamolo chiaramente – attualmente si configura come un’architettura non troppo gradevole, concepita su un territorio oggi degradato, sia a livello paesaggistico, sia sociale, ciò che ci rende perplessi, al momento, è quanto dichiarato proprio dall’architetto Prosperetti riguardo alla “confusione normativa che sta investendo il caso romano”. Un elemento, in effetti, appare chiaro da questa vicenda: a seguito della riforma Franceschini, il Mibact è diventato una sorta di ‘ministero matrioska’, dove la burocrazia ‘infuria’ a causa dell’eccessiva ripartizione delle competenze. E questo al di là della costruzione del nuovo stadio, nei confronti del quale, considerata la situazione di degrado che investe l’area di Tor di Valle, si è portati a essere favorevoli.

Inapplicabilità del vincolo all’ippodromo: un vizio di fondo
Questa confusione ‘burocratico-amministrativa’ è ben evidenziata dal 'caso Tor di Valle'. Secondo Prosperetti, infatti, alla base della scelta di non applicare il vincolo all’area vi sarebbe “un vizio di fondo: nel 2014, la direzione regionale dei Beni culturali e paesaggistici del Lazio avrebbe fornito un parere sul progetto dello stadio che esaminava tanti aspetti dell'area, compreso un filare di alberi, ma senza approfondire l’architettura dell’ippodromo. Tale direzione aveva a sua volta raccolto il parere formTribuna_onore.jpgulato dalla Soprintendenza ai Beni architettonici (in cui l'ippodromo non era nominato) e che confermava quanto la stessa soprintendenza aveva sostenuto nel 2011". Prosperetti segnala, inoltre, una sequela assurda di “piccoli errori e omissioni”, che avrebbero influito sull’ultimo parere, quello decisivo, di demolire l’ippodromo, salvando una porzione della tribuna di Lafuente. A tale ‘sequenza’ di imprecisioni si devono poi aggiungere le norme del 2013, che consentono la costruzione degli stadi. Norme che, come sottolineato dallo stesso Prosperetti “di fatto, stabiliscono che un parere dato su un progetto preliminare valga quanto quello dato sul progetto definitivo. La qual cosa significa che quel via libera iniziale ‘pesa tanto’ e che, sulla base di quel via libera, il costruttore ha fatto investimenti in questi anni. La procedura di vincolo”, spiega Prosperetti, “non tutelava il bene in sé, ma il bene in quanto testimonianza di una stagione storica e culturale. Il che spinge la proprietà a proporre di demolire la tribuna, sostituendola con la ricostruzione di una sua porzione, progettata dall'architetto Paolo Desideri, alla quale viene annesso un museo che documenta gli impianti sportivi realizzati negli anni Cinquanta e Sessanta". Certo, stiamo parlando di intricati ‘cavilli giuridici’, difficilmente comprensibili da noi comuni mortali. Tuttavia, è evidente come alla base di questa vicenda vi sia una grande confusione normativa. Un caos non nuovo per il Mibact. Soprattutto, come si accennava, a seguito della riforma Franceschini. Quest’ultima, infatti, ha accorpato istituzioni e frammentato i pareri, sottraendo ‘potere decisionale’ alle Soprintendenze, come dimostrato dalle recenti ‘querelle’ sulla nomina dei direttori stranieri dei musei, in merito alle quali il Consiglio di Stato ha recentemente sentenziato e il ricorso del Campidoglio contro il ministero dei Beni culturali sull'istituzione del Parco archeologico del Colosseo, provvisoriamente accolto dal Tar.

Conclusioni
Al momento, sembrerebbe che lo stadio della Roma si farà. Probabilmente, demolendo l’architettura di Lafuente e salvando porzioni della tribuna, da musealizzare, forse, in altra sede. Del resto, in base alla riforma Madia, è la Conferenza dei servizi a fornire il parere definitivo, per superare il dissenso espresso dalle amministrazioni preposte alla tutela di interessi qualificati (tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali della salute dei cittadini). Noi ci auguriamo che si prenda una decisione ben ponderata, che non precluda aprioristicamente lo sviluppo urbanistico della città e, quindi, la costruzione dello stadio, ma che tenga anche presente il valore storico-architettonico del sito, lasciato oggi alla più totale incuria. Il tutto, nel rispetto delle procedure amministrative e delle leggi italiane sulla tutela del patrimonio culturale e ambientale. Intanto, però, il presidente di ‘Italia Nostra’, Oreste Rutigliano, minaccia di fare ricorso alla giustizia e di ‘debellare' in tribunale “i cavilli burocratici presi a pretesto per non assumere una decisione a favore della tutela, il tutto sullo sfondo del più grosso intreccio di politica e affari che si sia mai visto nell’urbanistica romana e che niente ha a che fare con gli interessi del patrimonio culturale nazionale”. Stando così le cose, non è escluso che, qualora 'Italia Nostra', o un’altra associazione, decidesse di presentare un esposto contro il parere espresso dal Mibact, il ministero possa incorrere in una salatissima multa di milioni di euro. E, soprattutto, in un’ennsima ‘figuraccia’.

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NELLA FOTO: L'ENTRATA DELL'IPPODROMO TOR DI VALLE

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